L’arte del basto: il ricordo di Domenico, un grande artigiano d’Abruzzo

Il bellissimo racconto di Giulio Gino Di Giacomo che attraverso i suoi ricordi e le sue parole vuole tentare di trasmettere alle nuove generazioni l’arte del basto, un antico mestiere, oggi purtroppo quasi del tutto scomparso; un lavoro artigianale portato avanti dalla sua famiglia per tre generazioni e terminato con suo padre .

A mio padre, Di Giacomo Domenico (bastaio di Sante Marie (AQ) da tre generazioni)

I basti di mio padre arrivavano in molte regione italiane ma anche all’estero come in Svizzera e in Austria, non perché lui avesse una visione di commercio così ampia, ma bensì perché nei territori appena citati erano andati a vivere (soprattutto a lavorare) i mulattieri di Cappadocia ed altri paesi limitrofi abruzzesi.

Basti fatti su misura, secondo la grandezza del mulo o dell’asino, creati con amore e passione. Gli stessi che sono ancora usati oggi dai pochi mulattieri rimasti. Basti creati senza risparmiare nulla, perché potessero durare nel tempo, tant’è che mi è difficile trovarne oggi qualcuno come ricordo personale.

Il basto, usato per il mulo e l’asino, a differenza della sella per i cavalli non può essere fatto in serie: viene costruito su misura poiché l’animale deve “sentirsi fasciato” affinché il peso portato nelle ore di lavoro non dia fastidio e non rechi danno.

I basti di una volta erano fatti con materiale d’eccellenza: gli “arcioni” (due per ogni basto) di legno ricurvo in maniera naturale, li sceglieva lui personalmente, scartando quelli poco affidabili. Particolari e personalissime scelte erano fatte: sulla “tela”, sulla “paglia”, sulle tavole (due per ogni basto) rigorosamente tutte di un pezzo che piegava lui personalmente con il fuoco e bagnandole con l’acqua ma anche per lo spago da usare per le cuciture. Ulteriori e rigorose selezioni erano riservate per “il pelo animale” che faceva arrivare, in grosse balle, da Genova e che riusciva, con grande sudore, a rendere soffice e vellutato, liberandolo da impurità e residui con una speciale e originale macchina con rulli a mano (peccato questa sia andata persa!!!). Stesso discorso di accurata selezione per “i capperoni“, grossi tubi antincendio in disuso di prima qualità che tagliava e riscaldava al sole o al tubo della stufa perché risultassero più morbidi (li prendeva da un certo “Claudio di Celano”). Portava la stessa attenzione nella scelta di un particolare pellame nero e, addirittura, per i più umili chiodi; sì, anche questi avevano per lui una grande importanza.

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Le “misure” venivano prese dal mulo e dall’asino stesso, presso la sua bottega o inviate per posta dai mulattieri più lontani. Ciò che usciva fuori dall’artigianale e magico assemblaggio manuale, dopo aver usato faticosamente l’ascia, fatto i buchi sul duro legno a mano (il trapano elettrico è stato inventato dopo e, quindi, adoperato solo negli ultimi anni) e usato grossi aghi per cucire, era il suo “mmasto” (così chiamato in dialetto locale), che veniva alla fine quasi accarezzato dalle sue grosse mani, callose e indurite.

Il suo “mmasto” era un mix di profumi, magici odori di sudore, di legno, di spago, di paglia, di tela, di capperoni, di pelo animale e di pelle e sembrava che anche gli stessi chiodi profumassero .

Per i mulattieri, Domenico “jo mastaro” (papà) era affidabile, perché i suoi basti non si rompevano mai, sembravano fatti con l’acciaio. Ha fatto scuola, ha insegnato a molti. Per sei mesi a Sante Marie e per sei mesi a Cappadocia, si, per sei mesi si trasferiva a Cappadocia, paese di mulattieri.

Il mondo però cambia e con il passare degli anni, specialmente d’estate, la piazza di Cappadocia è diventata sempre più “gialla”, si riempieva di taxi gialli perché molti mulattieri avevano venduto i loro muli e acquistato licenze di taxi a Roma. A ricordo dei tempi andati nella piazza di Cappadocia c’è oggi una statua in bronzo del mulo con “jo mmasto” e legna e a Sante Marie c’è una statua in bronzo del basto.

Ringrazio mio padre, cui dedico queste righe, per gli insegnamenti che mi ha dato anche con i sui sguardi e con i suoi silenzi. Mi ha lasciato magici ricordi di profumi che non sento più.

Spero che queste parole possano accendere e risvegliare ricordi ed emozioni; far capire alle nuove generazioni di oggi “del tutto comodo e subito” la fatica dei nostri genitori e, quindi, di provare a narrare e celebrare un’angolino di vita vissuta di una volta e, purtroppo, dimenticata! L’auspicio è quello di lasciare piccole e umili tracce positive. Una cosa è certa comunque vada, è quella di essere contento e orgoglioso di poter far vedere agli occhi dei “viandanti” di oggi e di domani “jo masto”, il significativo monumento in bronzo che rimarrà lì, in bella vista, a Sante Marie a testimoniare un lavoro e un’epoca che non c’è più.

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